martedì 7 febbraio 2012

(2) MALESSERE PSICOLOGICO PER SENSO DI COLPA E INADEGUATEZZA


Il senso di colpa "Mi sento in colpa…" non è solo un modo di dire piuttosto ricorrente. Il senso di colpa è qualcosa di molto profondo, a volte un sentimento molto doloroso e alla base di gravi problemi e disturbi. Il senso di colpa arriva a determinare le nostre azioni, le nostre scelte, la nostra vita. Abbiamo intervistato la D.ssa Mazzilli, psicologa e psicoterapeuta, per cercare di approfondire l'argomento, e magari di individuare qualche soluzione alle situazioni più diffuse e ricorrenti.

Cosa è il 'senso di colpa' ammesso che sia possibile definirlo in poche righe? Il senso di colpa è una emozione che permette di contenere le pulsioni distruttive e di prendere coscienza della sofferenza dell'altro. Identificato in questa modalità può avere anche sfumature costruttive perché mette in guardia qualora si stiano oltrepassando i limiti, costringe ad una messa in discussione e ad un'assunzione di responsabilità. Il senso di colpa, sperimentato spesso da ogni persona sensibile e responsabile, è un meccanismo della coscienza che, se non è deformato, segnala un disagio e ci rimprovera quando facciamo qualcosa che infrange il nostro codice morale, perseguitandoci fino a quando non ci attiviamo per rimediare con un gesto riparatore.

Cercare di "evitare" il senso di colpa, significa comportarsi in modo da evitare di fare del male ad un'altra persona. Il senso di colpa è una reazione naturale ad una nostra azione cattiva, illecita, crudele o disonesta: una volta riconosciute le proprie responsabilità e prese le misure correttive, il campanello d'allarme della mente ha terminato la sua funzione.

Tuttavia può succedere che la colpa non sia collegata ad un atto specifico, ma nasca da un senso di inadeguatezza non compreso, da un senso di incapacità, di malessere non chiaro, può cioè scaturire da scenari più profondi della nostra interiorità, non necessariamente associati all'esperienza di vita pratica, trasformandosi in un'angoscia legata alla convinzione di essere inadeguati, inferiori, incapaci di essere amati e apprezzati.

Si parla di senso di colpa e si pensa anche all'educazione religiosa che abbiamo avuto da bambini e che (esperienza personale) molto ha fatto per inculcare e rafforzare il senso di colpa. Quanto dipende, il senso di colpa, dal tipo di educazione ricevuta, e dal tipo di cultura religiosa a cui si appartiene? E' certamente interessante notare come l'educazione religiosa cattolica ci insegni che ognuno nasce macchiato dalla "colpa" del peccato commesso dai nostri progenitori quando disobbedirono all'ordine divino e per questo furono cacciati dall'Eden.

Per lo psicoanalista il senso di colpa invece ha a che fare con la nostra storia personale, con le esperienze di vita fatte fin dall'infanzia. Il sentimento di colpevolezza nasce dal nostro "giudice interiore" che ci mette di fronte agli insegnamenti che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dalla religione e dalla regole sociali, come se si dovesse pagare un prezzo in termini di sofferenza interiore per avere osato desiderare qualcosa di vietato. Infatti basta solo aver pensato di violare una "regola" per vivere una sensazione di disagio, per non sentirsi più la coscienza pulita. Il bambino impara molto presto a sentirsi in colpa per non aver soddisfatto le aspettative degli altri e spesso quando è spettatore di un divorzio, di una malattia o di una sofferenza dei genitori, si convince di essere responsabile, come se effettivamente tutto ciò che è doloroso o "negativo" fosse, per qualche ragione, colpa sua.

Il sentimento di colpevolezza può celare un senso di onnipotenza ("è tutta colpa mia!"), una specie di volontà di controllo sugli altri e su ciò che si vive, un meccanismo perverso che ci costringe a vivere nella dipendenza, lasciando agli altri il potere di liberarci. La maggior parte delle persone che si sentono "colpevoli" soffrono, in qualche modo la paura dell'abbandono, il timore di perdere un amore o l'approvazione degli altri. Il sentimento di colpevolezza infatti induce ad adottare una certa condotta in funzione della fedeltà al gruppo di riferimento, al di fuori del quale ci si sentirebbe persi. La possibilità di fare una scelta fuori dal coro spaventa, è forte la tentazione di rimanere fedeli al gruppo rinunciando a se stessi e alla propria vera identità. Crescere vuol dire anche liberarsi dai condizionamenti e dalla paura di infrangere imposizioni e regole, adottando un comportamento rispettoso verso il gruppo, ma senza rinunciare a sé.



E la famiglia? Alcuni genitori a volte fanno leva sul senso di colpa dei figli per ottenere cose altrimenti impensabili... sembra quasi che in gioventù abbiano programmato i figli a rispondere - una volta adulti ed apparentemente indipendenti - a determinate sollecitazioni, e i sensi di colpa sembrano essere molto 'gettonati' nella classifica dell'efficacia... Alcune madri sono esperte nel far leva sui sensi di colpa dei figli e sanno, meglio di chiunque altro, come ottenere da loro quello che vogliono, riuscendo a colpirli proprio là dove sono più vulnerabili. Frasi taglienti, apparentemente innocue, creano mostruosi sensi di colpa, malessere e senso di inadeguatezza e hanno il potere di trasformare il figlio in un "bambino cattivo". "E così hai deciso di andare a studiare fuori città…così non ti vedrò per mesi"…L'operazione più difficile per un figlio è quella di comprendere profondamente che è la propria mamma ad attivare una manipolazione e che non è lui ad avere torto.

E' difficile proprio perché la madre che colpevolizza lo fa da sempre e ormai il senso di colpa si è completamente impossessato del figlio che fatica a vedere il vero e proprio abuso di potere che la madre mette in atto. Da adulto, si vedrà costretto ad affrontare la paura di essere rifiutato se non soddisfa puntualmente i bisogni della madre. E' necessario individuare l'esistenza del senso di colpa, capire cosa sta succedendo. Può succedere di sentirsi nervosi o inadeguati dopo un dialogo con i propri genitori, di avere mal di testa, di accorgersi che i loro commenti hanno il potere di spegnere ogni entusiasmo e che tutto l'impegno profuso per tentare di accontentarli non basti mai.

A volte diventa indispensabile mantenere le distanze e imparare a dire di no, ma prendere la situazione di petto potrebbe essere rischioso perché i genitori potrebbero offendersi, smettere di parlare, accumulare rancore ed infine esplodere, incatenando ancor più il figlio al proprio senso di colpa.






Quali i principali disturbi di carattere psicologico determinati da un senso di colpa?

L'indecisione che provoca continui ripensamenti ed enormi difficoltà ad adottare qualsiasi risoluzione, anche quella più banale. Quando ci si sente inadeguati, non si può tollerare di sbagliare: il senso di colpa diverrebbe insostenibile.

L'ipocondria (timore sproporzionato delle malattie) è uno dei disagi più comuni che nascono dal senso di colpa. Tutte le colpevolizzazioni seguono un ritiro di affetto che il bimbo vive come una minaccia di abbandono e di morte. Inoltre queste lo feriscono al punto da ritardare la crescita autonoma e lo costringono ad una dipendenza eccessiva dalle idee dei genitori. Nella vita adulta quel bimbo avrà paura di realizzare i propri desideri perché essi rappresenteranno una trasgressione. Il risultato sarà scegliere di rinunciarvi.

La superstizione prende vita dal senso di colpa, è una modalità difensiva allucinatoria che ha a che fare con il pensiero magico. E' come se una catastrofe fosse sempre alle porte e allora le mille attenzioni irrazionali (gatti neri, olio che si versa, rituali che si ripetono sempre uguali) servirebbero a scongiurare magicamente la disgrazia.

Grande bisogno di essere considerati e amati: maggiore è la sensazione di essere inadeguati e colpevoli, maggiore è la richiesta di considerazione totale. Molte coppie fondano il loro relazionarsi sul desiderio di ricevere dal partner quello che non si è avuto da piccoli, rivendicazioni insensate, destinate ad essere frustrate. Il risultato è un forte rancore verso il coniuge che ci delude.

L'onnipotenza è una peculiarità del pensiero infantile, si articola nella convinzione che tutti i desideri possano essere soddisfatti. A volte questa modalità persevera anche nella vita adulta, lasciando l'individuo vittima di colpevolizzazioni continue proporzionali a tutte quelle aspettative che inevitabilmente rimangono deluse e irrealizzabili.

Come fare per contrastare i sensi di colpa, quando questi interferiscono pesantemente con la nostra vita quotidiana, ci impediscono di vivere serenamente? Esiste una ricetta 'fai da te' che si può tentare di applicare? Conoscere se stessi, guardarsi dentro è sicuramente lo strumento più adatto per affrontare i sensi di colpa i quali hanno origine nell'infanzia e condannano a scontare una pena nel quotidiano in età adulta, una pena fatta di mortificazioni inutili auto inflitte. E' importante individuarne la fonte, fare pace con il proprio passato, liberandosi così di fardelli pesanti che forse non riguardano più quello che siamo o che facciamo, ma solo quello che siamo stati o che abbiamo vissuto. Questo lavoro su se stessi è una sorta di ritorno all'autenticità, uno sforzo ad essere più adesivi ai veri bisogni e desideri. Uno dei pericoli è quello di "lasciarsi vivere" orientandosi verso scelte senza ambizioni o evitando accuratamente obiettivi impegnativi.

"Ho deciso di rimanere a lavorare in questo call center… si guadagna poco ma almeno lavoro solo 4 ore al giorno…mi sento in colpa nei confronti di mia moglie che vorrebbe di più ma io preferisco così…sto più tranquillo". Queste persone si sentono inadeguate, frustrate, in conflitto tra il desiderio di migliorare la propria posizione e la difficoltà a realizzarlo. Si convincono, inconsciamente, che il loro valore dipenda esclusivamente da ciò che realizzano e non da ciò che sono e molti di loro sono stati figli di genitori troppo efficienti, dediti al lavoro e al sacrificio. La scelta della inattività o anche quella della permissività è un cuscinetto utile per ammortizzare il senso di colpa che deriva dalla incapacità di liberarsi dai propri autoritari "genitori interni". Un passo costruttivo potrebbe essere quello di cercare di accettare quell'aspetto di sé tendente alla inattività, riconducendolo anche ad un tentativo di farsi del bene. Da una parte cercare di differenziarsi dall'immagine dei propri genitori, dall'altra imparare a crearsi degli obiettivi e a pianificare ma rispettando i propri tempi.

C'è anche chi mangia tanto, specialmente cibo ipercalorico, per poi sentirsi in colpa verso se stesso e verso gli altri (percepiti come sempre pronti a giudicare). Il rapporto con il cibo ci dice qualcosa della nostra capacità di relazionarci: non sentirsi mai sazi di cibo è come non sentirsi mai sazi dell'amore che ci donano gli altri, giudicato sempre insufficiente. Si crea una grande dipendenza dagli altri e soprattutto una grande mancanza di fiducia e autostima, si mangia per riempire vuoti di affetti e ci si sente in colpa subito dopo per non riuscire ad aderire ai canoni dettati dalla società in tema di immagine. E'raro gustare un pasto come momento di puro piacere, nella maggior parte dei casi si finisce per non conoscere affatto i propri cibi preferiti così come si ha difficoltà a scegliere partner o amicizie che veramente fanno stare bene.

Un altro comune senso di colpa è legato al vissuto di quei figli che non si occupano dei genitori anziani: chi decide di non vivere con i propri genitori anziani può sentirsi ingrato o "traditore" (e spesso immagina che un giorno sarà abbandonato a sua volta, giusta punizione per il suo egoismo). Se il tempo dedicato ai propri genitori, per necessità o per scelta, è poco, è importante far sì che diventi comunque un momento intenso, interamente dedicato a loro. Non è raro a decidere di tenere con sé l'anziano genitore, sia proprio quel figlio che è stato trattato meno bene, il quale, spinto da un desiderio inconscio di ricevere quell'amore che è mancato, crede di poterlo finalmente ottenere offrendo le sue cure. I figli sufficientemente amati, sono meno condizionati da questo tipo di desiderio profondo.

Le madri che lavorano si possono sentire in colpa per il fatto di lasciare i propri bimbi da soli tanto tempo. Gli effetti di questo tormento si possono osservare nella perdita di autostima e di interesse per il lavoro, nella somatizzazione, nell'aggressività o, a volte, nella smisurata indulgenza verso i figli. A volte si fa l'errore di non accettare la vita che si è scelta e rimproverarsi è più facile che prendere coscienza di quello che si desidera davvero: "Perché sono rimasta incinta se sapevo che poi avrei dovuto occuparmi dei figli? Perché non ho lasciato il lavoro? Perché ho scelto di separarmi invece di restare con mio marito, in fin dei conti poteva darmi una mano con i bambini…"

In realtà, poche ore di disponibilità vera, attenta e partecipe con i propri bambini sono sicuramente più nutrienti di una presenza continua ma distratta o, peggio ancora, esclusiva e soffocante. Diventa indispensabile ingegnarsi, organizzare la propria vita migliorandola, per esempio delegando compiti, ove possibile, in casa o sul posto di lavoro, confrontarsi con altre mamme etc…L'importante è mettere a fuoco quello che si desidera davvero e riconciliarsi con il passato.

Lo stesso vale anche per quei padri divorziati che sono costretti a vedere i propri figli sporadicamente. Molti cercano di conservare la loro autorevolezza ma si sentono presto rifiutati e recitare la parte di padre-amico-permissivo li aiuta a sentire meno quel senso di colpa che nasce puntuale dalla sensazione di aver deluso le aspettative che il loro ruolo richiede. Un "buon padre" dovrebbe essere sempre presente, ascoltare i figli, incarnare "le regole", dare ottimi esempi. E se tutto questo non si raggiunge? Si ha la sensazione di aver fallito, di perdere l'amore dei propri figli. E' fondamentale rapportarsi con i propri figli non pensando all'immagine che si vuole dare loro di sé in quel momento, ma cercando di capire quello di cui hanno veramente bisogno.



E la psicoterapia? Ogni volta che viviamo una esperienza negativa, ci sentiamo all'istante giudicati colpevoli, accusati e condannati al tormento del senso di colpa che si manifesta anche nei sogni, durante la notte, non si riposa mai. Quando c'è malumore, sensazione di disagio, quando ci sentiamo tristi o nervosi vuol dire che il "giudice morale" sta lavorando dentro di noi, ci sta condannando in silenzio, per qualcosa che abbiamo fatto o pensato. Magari nemmeno ce ne accorgiamo, ma questo accade di continuo ed è impresa estremamente difficile sottrarsi alla sua ingerenza. Pochi sono momenti durante i quali il nostro giudice interno interrompe la sua attività e in questi rari casi ci sentiamo felici. Forse è impossibile arrivare a farlo tacere definitivamente, ma è fondamentale attivarsi almeno per ridurre la sua influenza. Ripeto ancora una volta l'importanza di imparare a riconoscere il senso di colpa attraverso l'introspezione, la presa di coscienza aiuta a tenerlo a bada e in questo senso la psicoterapia può essere di grande aiuto:rafforzare l'Io e renderlo il più possibile autonomo rispetto al super Io, alleggerendolo dai condizionamenti infantili.

04 Dicembre 2009

Dott.ssa Mariacandida Mazzilli, psicologa, psicoterapeuta

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DISAGIO PSICOLOGICO


Condizione in cui la persona (adulta, adolescente o bambina) sperimenta in modo costante una sofferenza più o meno intensa nella sfera emozionale, unita ad una difficoltà nel relazionarsi in modo autentico con se stessa e con le altre persone, specie con quelle affettivamente significative.


DISAGIO SOCIALE


Condizione in cui la persona (adulta o adolescente) sperimenta, in modo permanente o transitorio, la difficoltà a costruire e mantenere autonomamente uno stile di vita adeguato ai bisogni propri e della propria famiglia unitamente all’impossibilità di partecipare alla vita del gruppo sociale di appartenenza.




Il disagio psicologico si manifesta in forme diverse e diversamente influenti sulla vita reale (sulle cose che una persona fa e vive consapevolmente): può consistere in un diffuso sentimento di insoddisfazione per la propria vita come può assumere forme acute di dolore interiore. Il disagio psicologico è sempre causato da una mancata soddisfazione di bisogni affettivi durante l’infanzia.

La conseguenza del disagio va dalla sensazione di non aver vissuto bene (rimpianti, rancori, invidie, senso di colpa), alla condizione di auto-distruzione (depressione grave, alcolismo, tossicodipendenza, isolamento, violenza, carcerazione, scelte di vita fortemente autolimitanti).



Il disagio psicologico può esistere, e spesso accade, anche in assenza di disagio sociale, ma esso non causa di per sé il disagio sociale, se non in situazioni gravi dove la persona porta in sè una sofferenza che la conduce all’impossibilità di mantenere i contatti con la realtà.


Il disagio sociale può esistere anche in assenza di disagio psicologico, ma molte volte ne è una delle cause; è probabile che esso causi sofferenza psicologica in quanto non permette alla persona di realizzare le proprie aspirazioni e di vivere una buona qualità di vita.


Disagio sociale e psicologico coesistono in ambienti di vita degradati dove le difficoltà economiche e gli scarsi strumenti cognitivi dei genitori, insieme ad una inadeguatezza affettiva o ad una non disponibilità verso le richieste d’amore e di accudimento dei figli, ricadono negativamente sullo sviluppo di questi ultimi creando un circolo vizioso di sofferenza e di disagio.



Nelle comunità e nei servizi per minori si incontrano bambini, adolescenti e famiglie che sono portatori di un disagio sia psicologico che sociale. Resta vero che una vasta parte del disagio psicosociale non viene a conoscenza dei servizi sociali perché non si manifestano o vengono nascoste situazioni di trascuratezza e inadeguatezza genitoriali.

L’altra forma di disagio, quello specificatamente psicologico, rimane una realtà sommersa e ancora poco affrontata perché non prende l’aspetto di un problema sociale urgente. Nel migliore dei casi viene portata negli studi privati di psicoterapeuti, psichiatri, pedagogisti e specialisti della relazione d’aiuto, ma per la maggior parte dei bambini e degli adolescenti viene ignorata o interpretata come caratteristica del minore imputabile a lui stesso.



FATTORI CHE POSSONO DETERMINARE L’INSTAURARSI DEL DISAGIO*



1) Caratteristiche personologiche dei genitori:


a) patologia psichica (psicosi o nevrosi)


b) fragilità, disequilibrio, immaturità della personalità


c) disturbi emotivo/affettivi (depressione, ansia, debole autostima, egocentrismo..)



2) Eventi disgreganti il nucleo famigliare:


a) conflitto grave fra i genitori


b) separazione o divorzio dei genitori


c) minacce di abbandono o di morte


d) malattia grave dei genitori, di un fratello o del bambino stesso


e) abusi sessuali



3) Stili educativi inadeguati:


a) violenza, maltrattamento, abuso


b) trascuratezza emotiva (scarsa responsività emozionale)


c) rovesciamento della relazione di accadimento


d) autoritarismo, rigidità, inflessibilità


e) lassismo, permissivismo


f) delega educativa


g) incoerenza, imprevedibilità


h) difficoltà comunicative





*I fattori presi in considerazione sono stati citati in ordine di gravità: da quelli più influenti nel determinare forme di disagio a quelli meno importanti.

Tutti i fattori sopraelencati POSSONO concorrere a determinare una situazione di disagio, ma non necessariamente lo fanno. La somma di più fattori costituisce un ulteriore rischio di disagio o di aggravamento dello stesso.


FATTORI AGGRAVANTI IL RISCHIO DI DISAGIO*



Appartenenza del nucleo famigliare ad un ambiente socio-culturale deprivato:



bassa scolarità dei genitori


comportamenti devianti dei genitori



cattive condizioni economiche (disoccupazione, grave precarietà lavorativa, povertà)


cattive condizioni abitative (spazi insufficienti o inadeguati, scarsa igiene, scarsità di cure sanitarie, assenza di comfort, non disponibilità di gioco e di movimenti esplorativi)


emarginazione sociale (genitori appartenenti a minoranze religiose, etniche, culturali)





FATTORI PROTETTIVI OPPOSTI AL RISCHIO DI DISAGIO



età del bambino superiore a sei anni


buone capacità intellettive del bambino


temperamento del bambino (buona tolleranza alle frustrazioni)


buona stato di salute fisica del bambino


presenza di figure protettive adulte alternative ai genitori


relazioni positive con i fratelli


supporto sociale





*Tutti i fattori elencati non sono POSSIBILI fattori di aggravamento o di opposizione al disagio, ma rappresentano dati oggettivi e dimostrati dagli studi psicologici sull’infanzia e sull’eziologia del disagio adulto. La presenza delle situazioni citate influisce effettivamente nel rendere più o meno importante il disagio già instauratosi

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Riconoscere e curare l'ansia e il panico
di Salvatore Di Salvo:

http://www.depressione-ansia.it/upload/pdf/news_31786019.pdf



<*> INFINITA LUCE DELL'AMORE E DELLA VERITA' <*>


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